L’impresa italiana si ostina con gli “assolo”

Si sa, il tessuto economico del nostro paese è composto prevalentemente da piccole e medie imprese. In Italia infatti risultano circa 5.929.177 imprese registrate, anche se sono 5.083.500 quelle attive. 

Secondo i dati dei primi mesi dell’anno, le nuove iscrizioni sono state 106.881, mentre le cessazioni hanno coinvolto 117.832 attività.

Secondo i dati ISTAT, alcuni dei settori più dinamici in Italia includono:

  1. Commercio, distribuzione e servizi correlati alla vendita: Questo settore è in crescita grazie al boom degli e-commerce, soprattutto dopo la pandemia, con 045.501 imprese1.
  2. Attività professionali, scientifiche e tecniche: Questo settore comprende la contabilità, la consulenza, la ricerca e il marketing, con 396 imprese1.
  3. Costruzioni: Con 212 imprese, il settore delle costruzioni dimostra un certo dinamismo1.

Inoltre, l’edilizia, il turismo (con i bed & breakfast) e la consulenza aziendale sono stati identificati come settori dinamici nel 2023 e nel medio termine. La graduale diminuzione delle restrizioni dovute alla pandemia ha anche avuto un impatto positivo sui settori dell’intrattenimento e dei viaggi3. Tuttavia, è importante notare che le iscrizioni di nuove imprese sono stabili, mentre le chiusure sono in aumento

Fra tutte queste realtà vengono presentati circa 18.000 progetti innovativi e di valore, molti di questi, circa 12.000, vengono presentati da start up innovative. Tuttavia, solo 3 su 10 di questi progetti sopravvive o supera i tre anni di vita e i motivi di questo livello di mortalità sono diversi e qui cercheremo di individuarli.

Fra le motivazioni principali di fallimento la prima causa che appare evidente riguarda il difficile reperimento di finanza per lo strat up. Tuttavia non è questo l’unico motivo, le altre cause, così come riportato da una ricerca, sono:

  1. Assenza di mercato;
  2. Fondi esauriti;
  3. Team sbagliato;
  4. Competitor agguerriti;
  5. Pricing errato o costi elevati;
  6. Prodotto non soddisfacente;
  7. Business Model sbagliato;
  8. Marketing non efficace;
  9. Scarsa attenzione nei clienti;
  10. Lancio di prodotto nel periodo sbagliato.

I motivi elencati basterebbero da soli a giustificare la difficoltà nel reperire finanza per avviare adeguatamente le attività previste e, quindi, gettare le basi per la sopravvivenza e l’affermazione della proposta.

Secondo noi ci sarebbe però un altro fenomeno, tipicamente italiano, da considerare e questo fenomeno riguarda la compagine che costituisce la società.

Viene sempre ricordato il saggio andante che recita: “Le società devono essere composta da un numero dispari di soci e tre sono troppi”. Questa regola, per taluni aurea, viene pedissequamente applicata dagli imprenditori italiani che, ad un’attenta analisi delle composizioni societarie, scelgono, da sempre, compagini societarie siffatte:

  1. Socio unico;
  2. Socio di maggioranza con quote distribuite a soggetti aventi lo stesso cognome;
  3. Socio di maggioranza più che qualificata, con quote di minoranza in capo ad un amico più che fedele.

Per carità, nulla di peccaminoso in tutto questo però o si ha la fortuna di avere familiari e amici con alte competenze in specifici ruoli aziendali, o si crea un grosso problema in tema di governance.

Il tema della governance rappresenta, sempre più spesso, il punto focale della pletora di p.m.i italiane ed è uno dei motivi della mancata crescita di realtà che avrebbero anche un altissimo valore in termini di offerta.

 

Tuttavia, questa forma mentis impedisce al nostro paese di avere imprese con la volontà di mettere a fattor comune competenze ed abilità per raggiungere un vero e proprio accoppiamento sinergico in grado di raggiungere risultati molto più importanti della somma delle stesse competenze messe insieme. Questo accade anche per l’avvio, da parte di società già strutturate, di nuove operazioni o opportunità di business che richiedono, al fine di realizzare un prodotto più evoluto, apporti di competenze diverse rispetto a quelle proprie e che l’azienda già possiede, cercando semplicemente di acquisirle piuttosto che condividere la creazione della nuova proposta in un unico, nuovo, soggetto che comprenda, grazie alle competenze di tutte le componenti che costituiscono il nuovo soggetto, know how adeguato e focalizzato sull’obiettivo.

Questo stato di cose di fatto impedisce la creazione di un nuovo tessuto imprenditoriale più, coeso, performante, competitivo e sicuramente dimensionalmente più interessante per il mercato e per gli investitori istituzionali.