Siamo poi così sicuri che piccolo sia più bello?

Ancora una volta parliamo di imprese, le imprese italiane, quelle che sbandieriamo ad ogni pie’ sospinto come quelle che sanno veramente fare e il più delle volte è vero.

Tuttavia, anche davanti al “saper fare”, ci poniamo una domanda importante quanto ovvia che è pressappoco la seguente: “Visto che le cose le sappiamo fare e che le nostre aziende spesso di sono guadagnate l’etichetta di “eccellenti” perché non crescono e restano vita natural durante piccole aziende?”

Le risposte che spesso ci sentiamo dare sono le più disparate ma giungono tutte quante ad un minimo comun denominatore che nella sostanza recita quanto segue:

  1. la natura familiare delle imprese italiane 
  2. la mancanza di capitali con cui investire e crescere 
  3. Gli incentivi regolatori che ti portano a rimanere piccolo

A sentire queste risposte sembra quasi che ci siano condizioni esterne ad impedire alle imprese italiane che, vi ricordiamo, rappresentano il 97% del tessuto imprenditoriale italiano e che proprio a causa delle loro dimensioni, risultano essere meno efficienti e quindi meno competitive, nonostante siano, confrontate con quanto accade in altri paesi, produttive al pari di quelle di altri paesi.

Perché abbiamo così tante piccole e medie imprese?

L’Italia, com’è già noto, ha il più alto numero di piccole e medie imprese (PMI) di tutta Europa e le PMI hanno solo il 5% di probabilità di diventare grandi aziende, la metà rispetto alla Germania e un terzo di Stati Uniti e Regno Unito.  

I motivi che vengono addotti ma che restano reali, pur non essendo esterni alle imprese, è determinato proprio dal fatto che le imprese sono prevalentemente familiari e le imprese familiari sono mediamente più avverse al rischio e al cambiamento e sono piene di figure “di fiducia” che spesso, non sempre, si limitano ad condurre le attività come spesso ci sentiamo dire, ovvero “come abbiamo sempre fatto”.

Un altro elemento importante per far crescere le imprese afferisce alle risorse finanziarie, elemento imprescindibile per fare investimenti e sviluppo.

Per poter fare investimenti o si hanno capitali di rischio da investire, o si è costretti a ricorrere al credito richiedere prestiti e ricorrere al credito. Questo rappresenta un freno, soprattutto per le imprese di piccole dimensioni. Le difficoltà molto spesso sono determinati proprio dalla mancanza di una struttura organizzativa in grado di offrire le giuste garanzie per orientare correttamente gli investimenti, guidare i progetti e monitorarne gli andamenti.

In realtà esiste un motivo esterno che spinge le piccole imprese a rimanere tali e questo motivo riguarda la disciplina dei licenziamenti che è  decisamente meno stringente per le imprese di piccole dimensioni.

Questo condizioni spingono l’imprenditore ad affidarsi a una persona di fiducia che ha un’altra piccola azienda a cui affidare in appalto la realizzazione di progetti, piuttosto che assumere nuovo personale e crescere di numero, con l’inevitabile risultato di non disporre di competenze qualificate in azienda. 

Le piccole imprese sono meno efficienti di quelle grandi 

Un tessuto imprenditoriale fatto al 79% da microimprese con meno di 10 dipendenti e al 97% da piccole imprese con meno di 50 dipendenti, però è anche un tessuto imprenditoriale meno produttivo.  

Secondo un’analisi fatta su dati Eurostat, a parità di dimensione e settore, le nostre imprese più grandi sono produttive quanto e più di quelle di altri Paesi

Tuttavia, visto il numero estremamente più consistente di piccole imprese in Italia, queste sono meno efficienti di quelle grandi – per la minore capacità di fare innovazione, per esempio – e visto il numero elevato di micro-imprese in Italia rispetto ad altri Paesi, la produttività italiana risulta stagnante. 

 

Da dove arriva la produttività nel nostro paese?

In Italia, la produttività l’ha fatta il terziario, infatti, la terziarizzazione dell’Italia e di tutti i Paesi avanzati in atto dal 1995, ha portato un impatto positivo sulla produttività e sull’occupazione e ancora oggi mostra quale potrebbe essere la crescita potenziale del Paese.

Il settore terziario non è però tutto uguale, ad esempio il turismo ha una produttività più bassa rispetto ai servizi ICT, negli ultimi 30 anni infatti, la produttività del terziario è aumentata di 3 punti percentuali e il numero di occupati in questo settore è aumentato di 10 punti percentuali. È certamente stata la parte di economia che ha generato più opportunità di lavoro.

La burocrazia pubblica è un freno alla crescita

Esiste un altro elemento esterno all’impresa che non le consente di crescere e si chiama burocrazia. Negli ultimi 30 anni, il segmento di attività che è cresciuto di più è il segmento delle attività professionali scientifiche e tecniche, ma a fronte di un quasi un raddoppio di lavoratori impiegati la quota di valore aggiunto è rimasta sostanzialmente costante. 

Questo vuol dire che non c’è stata una capacità da parte di questo segmento di utilizzare a dovere la spinta derivante dall’adozione di nuove tecnologie, che invece ha funzionato per l’agricoltura e l’industria.

In realtà, non è difficilissimo introdurre elementi di produttività nelle attività terziarie: l’ostacolo principale rimane quello burocratico della Pubblica Amministrazione, che ad oggi è tutto fuorché un facilitatore della crescita, soprattutto per le piccole imprese. 

 Come se ne esce da questo circolo vizioso e frenate della crescita?

Ricordiamo cosa abbiamo individuato come elementi di ostacolo alla crescita. Come abbiamo già detto i fattori d’impedimento sono:

  1. la natura familiare delle imprese italiane 
  2. la mancanza di capitali con cui investire e crescere 
  3. Gli incentivi regolatori che ti portano a rimanere piccolo

A questi abbiamo aggiunto la burocrazia ma mentre su quest’ultima possiamo solo sperare che migliori, sugli altri elementi potremmo agire.

Relativamente alla natura familiare ci sentiamo di consigliare di valutare attentamente le attitudini e le competenze dai familiari inseriti in azienda e in caso di presenza della prima, cercare di migliorare le competenze con personale e figure in grado di accompagnare l’azienda verso la crescita, trasferendo il know how a chi già opera nell’organizzazione e, magari, avrà il compito di garantire continuità alla stessa.

L’inserimento in azienda di figure molto più skillate offre maggiori garanzie di finanziabilità e di corretta gestione della finanza acquisita e di gestione dei progetti che da questa verranno alimentati. In pratica questo vuol dire garantire una governance più adeguata.

A questo punto qualcuno si chiederà: “Come la mettiamo però con l’aumento del personale e quindi con la successiva difficoltà a liberarsene se le cose non dovessero andare?”

La risposta viene naturalmente fuori e si chiama consulenza o temporary management.

Queste due soluzioni non solo garantiscono maggiori e più navigate esperienze ma garantiscono la crescita omogenea del personale già presente, oltre all’inserimento di nuove figure selezionate con criteri diversi rispetto alla “persona di fiducia” con competenze da formare ma con verifiche circa le competenze, l’affidabilità, la capacità di assumersi responsabilità e gestire mandati e la capacità di “giocare di squadra”, inoltre i consulenti o i temporary managers operano con contratti professionali e non incidono sul costo del personale.